Nozione di corruzione e di prevenzione della corruzione
Estratto dalla Delibera n. 1064 del 13 novembre 2019 dell'Autorità Nazionale Anticorruzione
Ambito oggettivo
La legge 6 novembre 2012, n. 190 si inquadra nel solco della normativa internazionale in tema di lotta alla corruzione che ha visto il progressivo imporsi della scelta di prevenzione accanto allo strumento della repressione della corruzione. A fronte della pervasività del fenomeno si è, infatti, ritenuto di incoraggiare strategie di contrasto che anticipino la commissione delle condotte corruttive.
Gli accordi internazionali, e in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), adottata a Merida dall’Assemblea generale il 31 ottobre 2003 e ratificata dallo Stato italiano con la legge 3 agosto 2009, n. 116, delineano chiaramente un orientamento volto a rafforzare le prassi a presidio dell’integrità del pubblico funzionario e dell’agire amministrativo, secondo un approccio che attribuisce rilievo non solo alle conseguenze delle fattispecie penalistiche ma anche all’adozione di misure dirette a evitare il manifestarsi di comportamenti corruttivi.
In questo contesto, il sistema di prevenzione della corruzione e di promozione dell’integrità in tutti i processi e le attività pubbliche, a ogni livello di governo, sulla base dell’analisi del rischio corruttivo nei diversi settori e ambiti di competenza, si configura come necessaria integrazione del regime sanzionatorio stabilito dal codice penale per i reati di corruzione, nell’ottica di garantire il corretto utilizzo delle risorse pubbliche, di rendere trasparenti le procedure e imparziali le decisioni delle amministrazioni.
La Convenzione distingue, infatti, al suo interno le misure preventive della corruzione (capitolo II, artt. 5-14), mentre lo specifico reato è contemplato nel capitolo III, dedicato alle misure penali e al rafforzamento del sistema giuridico.
L’attenzione rivolta al sistema di prevenzione trova conferma ove si consideri che agli Stati aderenti agli accordi internazionali è richiesto il rispetto di norme di soft law, come emerge dai procedimenti di verifica della conformità agli impegni assunti in sede convenzionale.
Poiché, come anticipato, per la legge 190/2012, il PNA costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni italiane “ai fini dell’adozione del Piano triennale di prevenzione della corruzione” l’Autorità, si ritiene necessario precisare meglio il contenuto della nozione di “corruzione” e di “prevenzione della corruzione”.
Sia per la Convenzione ONU che per altre Convenzioni internazionali predisposte da organizzazioni internazionali, (es. OCSE e Consiglio d’Europa) firmate e ratificate dall’Italia, la corruzione consiste in comportamenti soggettivi impropri di un pubblico funzionario che, al fine di curare un interesse proprio o un interesse particolare di terzi, assuma (o concorra all’adozione di) una decisione pubblica, deviando, in cambio di un vantaggio (economico o meno), dai propri doveri d’ufficio, cioè dalla cura imparziale dell’interesse pubblico affidatogli.
Questa definizione, che è tipica del contrasto penalistico ai fenomeni corruttivi, volto ad evitare comportamenti soggettivi di funzionari pubblici (intesi in senso molto ampio, fino a ricomprendere nella disciplina di contrasto anche la persona incaricata di pubblico servizio), delimita il fenomeno corruttivo in senso proprio.
Nell’ordinamento penale italiano la corruzione non coincide con i soli reati più strettamente definiti come corruttivi (concussione, art. 317, corruzione impropria, art. 318, corruzione propria, art. 319, corruzione in atti giudiziari, art. 319-ter, induzione indebita a dare e promettere utilità, art. 319-quater), ma comprende anche reati relativi ad atti che la legge definisce come “condotte di natura corruttiva”.
L’Autorità, con la propria delibera n. 215 del 2019, sia pure ai fini dell’applicazione della misura della rotazione straordinaria (di cui alla Parte III, § 1.2 “La rotazione straordinaria”), ha considerato come “condotte di natura corruttiva” tutte quelle indicate dall’art. 7 della legge n. 69 del 2015, che aggiunge ai reati prima indicati quelli di cui agli art. 319-bis,321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis del codice penale.
Con questo ampliamento resta ulteriormente delimitata la nozione di corruzione, sempre consistente in specifici comportamenti soggettivi di un pubblico funzionario, configuranti ipotesi di reato.
I comportamenti di tipo corruttivo di pubblici funzionari possono verificarsi in ambiti diversi e con riferimento a funzioni diverse. Si può avere pertanto una corruzione relativa all’assunzione di decisioni politico-legislative, una corruzione relativa all’assunzione di atti giudiziari, una corruzione relativa all’assunzione di atti amministrativi. Ciò non muta il carattere unitario del fenomeno corruttivo nella propria essenza. In questo senso espressioni come “corruzione politica” o “corruzione amministrativa” valgono più a precisare l’ambito nel quale il fenomeno si verifica che non a individuare una diversa specie di corruzione.
Come anticipato, le Convenzioni internazionali citate promuovono, presso gli Stati che le firmano e ratificano, l’adozione, accanto a misure di rafforzamento della efficacia della repressione penale della corruzione, di misure di carattere preventivo, individuate secondo il metodo della determinazione, in rapporto ai contenuti e ai procedimenti di ciascuna delle decisioni pubbliche più rilevanti assunte, del rischio del verificarsi dei fenomeni corruttivi, così come prima definiti.
Per essere efficace, la prevenzione della corruzione, deve consistere in misure di ampio spettro, che riducano, all’interno delle amministrazioni, il rischio che i pubblici funzionari adottino atti di natura corruttiva (in senso proprio). Esse, pertanto, si sostanziano tanto in misure di carattere organizzativo, oggettivo, quanto in misure di carattere comportamentale, soggettivo.
Le misure di tipo oggettivo sono volte a prevenire il rischio incidendo sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Tali misure preventive (tra cui, rotazione del personale, controlli, trasparenza, formazione) prescindono da considerazioni soggettive, quali la propensione dei funzionari (intesi in senso ampio come dipendenti pubblici e dipendenti a questi assimilabili) a compiere atti di natura corruttiva e si preoccupano di precostituire condizioni organizzative e di lavoro che rendano difficili comportamenti corruttivi.
Le misure di carattere soggettivo concorrono alla prevenzione della corruzione proponendosi di evitare una più vasta serie di comportamenti devianti, quali il compimento dei reati di cui al Capo I del Titolo II del libro secondo del codice penale (“reati contro la pubblica amministrazione”) diversi da quelli aventi natura corruttiva, il compimento di altri reati di rilevante allarme sociale, l’adozione di comportamenti contrari a quelli propri di un funzionario pubblico previsti da norme amministrativo-disciplinari anziché penali, fino all’assunzione di decisioni di cattiva amministrazione, cioè di decisioni contrarie all’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione, in primo luogo sotto il profilo dell’imparzialità, ma anche sotto il profilo del buon andamento (funzionalità ed economicità).
Con la legge 190/2012, è stata delineata una nozione ampia di “prevenzione della corruzione”, che comprende una vasta serie di misure con cui si creano le condizioni per rendere sempre più difficile l’adozione di comportamenti di corruzione nelle amministrazioni pubbliche e nei soggetti, anche privati, considerati dalla legge 190/2012.
L’Autorità ritiene opportuno precisare, pertanto, che naturalmente con la legge 190/2012 non si modifica il contenuto tipico della nozione di corruzione ma per la prima volta in modo organico si introducono e, laddove già esistenti, si mettono a sistema misure che incidono laddove si configurano condotte, situazioni, condizioni, organizzative ed individuali - riconducibili anche a forme di cattiva amministrazione - che potrebbero essere prodromiche ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio.
L’art. 1, co. 36, della l. 190/2012, laddove definisce i criteri di delega per il riordino della disciplina della trasparenza, si riferisce esplicitamente al fatto che gli obblighi di pubblicazione integrano livelli essenziali delle prestazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad erogare anche a fini di prevenzione e contrasto della “cattiva amministrazione” e non solo ai fini di trasparenza e prevenzione e contrasto della corruzione.
Il collegamento tra le disposizioni della l. 190/2012 e l’innalzamento del livello di qualità dell’azione amministrativa, e quindi al contrasto di fenomeni di inefficiente e cattiva amministrazione, è evidenziato anche dai più recenti interventi del legislatore sulla l. 190/2012. In particolare nell’art. 1, co 8-bis della legge suddetta, in cui è stato fatto un esplicito riferimento alla verifica da parte dell'organismo indipendente di valutazione alla coerenza fra gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico gestionale e i piani triennali per la prevenzione della corruzione e della trasparenza.
Ambito soggettivo
Le disposizioni concernenti le misure in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza si applicano a diverse categorie di soggetti pubblici e privati, come individuati nell’art. 1, co. 2-bis,3 della legge 190/2012 e nell’art. 2-bis4 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
In ragione della diversificata natura giuridica di tali categorie di soggetti, le disposizioni richiamate prevedono regimi parzialmente differenziati.
A seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97, alla legge 190/2012 e al d.lgs. 33 del 2013, è stata introdotta una correlazione incisiva tra l’ambito di applicazione della disciplina in materia di prevenzione della corruzione e quella della trasparenza.
L’art. 2-bis del d.lgs. 33/2013 individua l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina della trasparenza. Ad essa fa riferimento l’art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012 per identificare le pubbliche amministrazioni e gli altri soggetti tenuti all’adozione del PTPCT o di misure di prevenzione della corruzione integrative rispetto a quelle adottate ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300».
Da un punto di vista generale, per l’individuazione dell’ambito soggettivo, l’Autorità ha dato indicazioni con la delibera n. 1310 del 28 dicembre 2016, «Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016» e con la delibera n. 1134 dell’8 novembre 2017, recante
«Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici».
Per quel che concerne la trasparenza, l’Autorità ha anche fornito chiarimenti sul criterio della “compatibilità”, introdotto dal legislatore all’art. 2-bis, co. 2 e 3, del d.lgs. 33/2013 ove è stabilito che i soggetti pubblici e privati ivi indicati applicano la disciplina sulla trasparenza prevista per le pubbliche amministrazioni “in quanto compatibile”. Nella delibera n. 1310 e nella delibera n. 1134, l’Autorità ha espresso l’avviso che la compatibilità non va esaminata per ogni singolo ente, bensì in relazione alle categorie di enti e all’attività propria di ciascuna categoria. In particolare, il criterio della compatibilità va inteso come necessità di trovare adattamenti agli obblighi di pubblicazione in ragione delle peculiarità organizzative e funzionali delle diverse tipologie di enti.
Estratto dalla Delibera n. 1064 del 13 novembre 2019 dell'Autorità Nazionale Anticorruzione