
L’ITALIANO INCLUSIVO E L’USO DELLA SCHWA NELLA COMUNICAZIONE.
La parità di genere è diventato un argomento familiare, ovunque se ne discute e non sempre con gli strumenti dialettici più appropriati, molto inflazionato, rispetto al quale la convergenza delle opinioni è quasi totalitaria, anche se comunque sempre con dei distinguo.
Tutto questo fa sì che l’argomento stesso venga svilito dei suoi contenuti più radicali, venga per così dire edulcorato, per finire perfino in prima pagina su “Famiglia Cristiana”, per tradizione ricca di valori e simboli in controtendenza con la parità di genere, per intenderci quella molto colorata, inclusiva e che non riguarda esclusivamente la questione femminile.
Proprio per questo, invece di parlare di stereotipi di genere, equità finanziaria, vorremmo affrontare il tema da una visuale diversa, ponendoci la domanda se una possibile soluzione sono gli asterischi e l’uso della schwa nella comunicazione.
Infatti, una delle soluzioni pensate per rendere la lingua italiana più inclusiva e meno legata al predominio maschilista è l'utilizzo del simbolo “Ə”, chiamato Schwa.
Si tratta di una scelta linguistica degli ultimi anni dettata dalla necessità di abolire l'utilizzo del plurale maschile per definire un gruppo misto di persone.Lo schwa /ə/ non è un segno nuovo, inventato da chi fa attivismo a sostegno della causa dell'inclusività.
È una vocale presente dalla fine dell'800 nell'Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), ovvero il sistema che rappresenta i suoni di tutte le lingue e viene rappresentata come una e rovesciata.
L’italiano inclusivo è una proposta di estensione della lingua italiana per superare le limitazioni di una lingua fortemente caratterizzata per genere, con tutto ciò che ne consegue: impossibilità di parlare di sé o di altre persone senza menzionare il genere, impossibilità di parlare di persone che non si identificano in uno dei due generi binari.
Partecipando alle gioiose e coloratissime manifestazioni denominate dell’orgoglio gay, capita ancora di dover spiegare il motivo per cui un borghese, professionista affermato, eterosessuale con dei figli felicemente innamorati, senta il bisogno e ritenga “semplicemente” giusto partecipare, perché puoi anche non far parte di una comunità e comunque avvertire la necessità di affermazione delle loro istanze, di soddisfazione dei loro bisogni, in sintesi, condividere un’Utopia.
E quindi la dialettica si sposta sulla semantica della #parità di genere, ovvero parte della logica diretta a determinare i limiti di un linguaggio corretto e rigoroso mediante l'analisi dei ‘simboli’ linguistici d'uso comune.
L’italiano inclusivo è una lingua che permette di parlare di tuttз senza escludere nessunǝ.
Con l’aggiunta di soli due caratteri, la schwa per il singolare (ǝ) e la schwa lunga per il plurale (з), entrambe scrivibili con semplicità con gli strumenti che disponiamo ed entrambe pronunciabili, si risolvono tutti i problemi presenti nelle attuali soluzioni inclusive finora utilizzate.
E’ bene ricordare che l’italiano è una lingua flessiva, ovvero declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi e gli aggettivi, i participi passati.
Questo è causa di discriminazione nei confronti di numerose categorie di persone. Ogni volta che un uomo o una donna parlano di sé, della propria professione, di qualsiasi aspetto della propria identità o, semplicemente, di un’azione che hanno compiuto, in un linguaggio connotato per genere come l’italiano standard si trovano a dover dichiarare obbligatoriamente il proprio genere.
Questo, in una cultura dove il privilegio maschile è imperante, è fonte di oppressione.
Seppure sono legittime e condivisibili le battaglie di coloro, di genere femminile, che vogliono poter parlare della propria professione al femminile (ad esempio: avvocate, sindache, ministre), rimane il fatto che non esiste un’alternativa per coloro che non vogliano legare il titolo della propria professione al proprio genere, così come non esiste un’alternativa per coloro i quali, di genere maschile, vogliano compiere un piccolo atto politico per non connotarsi per genere.
Anche per un uomo cis binario, parlar di sé in termini non connotati per genere è questo atto politico che rende esplicito il privilegio di genere e il volersene distanziare.
Ma ancora più evidente è il privilegio maschile quando ci si rivolga a un gruppo di persone di generi misti qualora anche unǝ solǝ componente del gruppo sia di genere maschile. In questo caso l’italiano standard prevede l’uso del cosiddetto “maschile inclusivo” che, ovviamente, è tutto fuorché inclusivo in quanto rende invisibili tutte le componenti non maschili del gruppo stesso.
Alternative già ve ne erano: da tempo ormai, negli ambienti più sensibili al tema dell’inclusività di genere, sono in uso varie forme di declinazione in senso inclusivo.
Le più comuni sono quelle in cui viene sostituita alla declinazione di genere il simbolo @ o *.
Il problema fondamentale è che ciò indirizza questa necessità solo nel linguaggio scritto, dato che entrambi i simboli non hanno un’equivalente pronunciabile.
Per questo motivo è nata questa ulteriore proposta, basata sulla schwa (ǝ) e sulla schwa lunga (з), che è sia scrivibile che pronunciabile ed è declinabile sia al singolare che al plurale.
Vari nomi sono stati pensati per questa proposta di estensione della lingua italiana: una delle prime, italiano neutro, è stata soppiantata e sostituita con italiano inclusivo perché la terza declinazione, per noi, non implica l’assenza di un genere, ma l’inclusività di tutti i generi.
Per questo l’uso può essere generalizzato a chiunque, anche per i motivi di cui sopra: uomini e donne cis e trans, anche binariз, oltre ovviamente a chiunque non si identifichi in un genere binario.
L’argomento non è assolutamente irrilevante, marginale, tutt’altro che alieno alla cultura dei diritti. Questo simbolo è diventato oggetto di un’accesa discussione, divisiva, cioè esattamente il contrario di ciò che si voleva, che ha portato perfino alla creazione di una petizione su change.org intitolata “Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra”, ed il motivo è che negli ultimi anni il suo uso ha iniziato a diffondersi in vari contesti per cercare di superare quello che alcune categorie di persone giudicano come un limite espressivo della lingua italiana, ossia il fatto che non sia possibile non esprimere il genere di una persona o di un gruppo di persone.
Di fatto, l’apertura del ventaglio delle identità di genere verso “generi altri” crea una tensione con la tipologia della nostra lingua, che de facto prevede solo maschile e femminile.
È importante sottolineare un aspetto: stiamo discutendo di una tra le soluzioni “ampie” nate in seno alle comunità LGBTQIA+, usata da membri di tali comunità e da simpatizzanti con la causa, generalmente in un numero limitato di contesti e spesso non in maniera consistente, che ha raggiunto un certo grado di standardizzazione, seppure ancora minoritaria ed ai margini della letteratura tradizionale.
Questo non sta a significare che lo schwa sia la soluzione.
Infine, spesso si parla dello schwa come di un tentativo di “opacizzazione del genere”, di cancellazione del femminile che a oggi, va riconosciuto, è ancora poco strutturato nell’uso.
Al contrario, lo schwa, se usato al posto del maschile sovraesteso non va a sostituire o nascondere il femminile, ma semplicemente a evitare il maschile sovraesteso con tutte le conseguenze cognitive legate al suo uso.
L’impostazione femminista intersezionale non considera le due istanze di visibilizzazione, quella femminile e quella queer, come in contrasto, bensì in continuità,
Tutta questa riflessione, ridurre la #parità di genere all’uso della schwa nella comunicazione può sembrare davvero secondario; ma del resto, come ci ricorda bell hooks - pseudonimo volutamente in minuscolo di Gloria Jean Watkins, scrittrice, attivista e femminista statunitense (Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano, 1998, trad. di Maria Nadotti) - è proprio al margine che si manifestano fermenti, innovazioni, istanze che talvolta, da una posizione centrale, si fatica a vedere.
L’auspicio, aggiungo io, è che diventi il simbolo di un cambiamento culturale, il paradigma semantico che vada oltre la lingua nazionale, un linguaggio internazionale che includa e non divida; non sarà certamente la soluzione, ma un contributo importante affinché tali istanze abbiano la giusta carica propulsiva e l’energia emotiva delle passioni, così da indurre ad un cambiamento radicale, orientato alla #parità di genere ed ai valori dell’uguaglianza e dell’equità propri dell’inclusione.
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